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Piccole storie di minima gente
VOLI DI SOFFIONE piccole storie di minima gente
"VOLI DI SOFFIONE piccole storie di minima gente" è un libro che raccoglie 19 piccoli racconti pubblicato nell'anno 2001 con la sigla editoriale de IL CENTRO STORICO di Mistretta. Questa
a fianco è la copertina della riedizione 2015 con i tipi della Youcanprint. Il libro è reperibile presso le librerie online, alcune delle quali praticano
uno del 15% sul prezzo di copertina, come ad esempio la IBS o la inmondadori.
Nota di Pietro Attinasi su L'eco delle Madonie
19 RACCONTI DI VITA COMUNE SI INTRECCIANO NEI “VOLI DI SOFFIONE” DI FILIPPO GIORDANO Ci sono in Sicilia
dei bravissimi poeti, e a tale schiera appartiene certamente Filippo Giordano, i quali, risiedendo concretamente nell’Isola e condividendone le pene e le gioie, producono testi letterari di ottima qualità, anche se rimangono esclusi dalla notorietà
derivante dall’essere inseriti nei circuiti delle grandi industrie culturali delle metropoli lombarde e laziali, ancora purtroppo monopolisticamente dominanti nel mercato editoriale multimediale. Nat Scammacca, nella prefazione a un mio libro, annovera il poeta di Mistretta quale “esponente di rilievo di quel fiore di poeti appartenenti ad una cultura ideologica che si esprime su un altissimo livello artistico impiegando
vari strumenti poetici come la lirica, l’ironia, l’immagine, con contenuti sempre pertinenti e caratteristici dell’Isola.” Tilde Rocco, nella presentazione alla
sezione a lui dedicata nell’antologia GLI EREDI DEL SOLE (Il Vertice, 1987), così d’altronde ne parlava: “La libertà, la paura, la lotta sono i temi di questo poeta i cui versi pur nel contenuto intenso, nella forza dell’espressione,
mantengono una compostezza formale, come una fiamma che arde senza inutile fumo o spreco di crepitii, ma di cui si sente il calore.” Ed è vero. E’ vera l’eleganza di Giordano nelle poesie, ed è al contempo, come afferma Vincenzo Pinello nel numero della rivista Nuvole (marzo/aprile 2001), “impressionante la sua capacità di premere
le parole poetiche proprie ai temi sociali rivendicanti.” Tutto ciò fa onore alla Sicilia, o per meglio dire alla montagna del continente siciliano, a quell’altitudine che guarda il mare e scorge chiaramente, oltre ogni siepe costruita dagli
innumerevoli conquistatori, il mondo globale. Filippo Giordano rende grande Mistretta, paese dei monti Nebrodi, così fisicamente contigui con le nostre Madonìe.
Il libro VOLI DI SOFFIONE, con sottotitolo “piccole storie di minima gente”, è una novità editoriale per Filippo Giordano che si propone ora come scrittore di prose.
Si tratta di un volumetto che raccoglie diciannove racconti, ciascuno di due – tre pagine, che contengono quadretti della varia umanità vivente nel paese dell’autore, come, ad
esempio, ma non solo, il contadino che porta in campagna il figlioletto per toglierlo alla madre affaccendata in casa ad impastare e infornare il pane; o la signora che tiene a casa i due figli con le sgridate e si siede poi sulla scala esterna della
casa di fronte a vedere passare le persone ed è informata su tutto, e si reca dalle vicine a riferire e ricevere notizie; o il vecchietto che ancora se la sente di inquietare l’anzianissima moglie; gli scherzi fatti e ricevuti dal burlone del
paese. Commuove, fin dalle primissime pagine, l’affetto con cui Filippo racconta le storie. Il registro narrativo assume sì i connotati del distacco referente, senza riuscire
per fortuna a nascondere la simpatia, l’amore, verso i protagonisti delle piccole trame rappresentate. Sembra che Giordano riferisca aneddoti appresi in sedute conviviali con amici
di varie generazioni, i quali raccontano fatti veri, accaduti ad altri amici. Su tutte le storie l’autore comunque si astiene dall’esprimere qualsiasi giudizio di ordine morale. Ogni azione viene accolta con ironia, come dall’alto di chi
guarda le figure, le avvicina e ne racconta gli avvenimenti mentre le abbraccia. Cosicché sotto sotto emerge la saggezza a prevalere, la saggezza di chi la sa davvero lunga: non per niente siamo in Sicilia, regno della tolleranza e dell’adattamento,
della sopravvivenza intelligente. Così scorrendo le pagine via via, ci si sente a poco a poco come immersi in un Olimpo, minore per quanto si voglia, dati i natali della gran
parte dei personaggi, ma pur sempre dal clima meravigliosamente incantato. Di tale Olimpo Filippo Giordano narratore appare come il demiurgo che tira fuori, dall’insieme sociologico
informe delle statistiche, dalla tipologia socio-economica conosciuta dagli storiografi, i suoi simpatici protagonisti, le sue brave persone inviate a popolare ed animare la terra. Il
risultato è un mondo di buoni, con tutti i conflitti e i contrasti composti o sanati, dove non esiste tragedia ed anche l’amarezza delle delusioni viene superata con l’adattamento ad altre situazioni, poiché ognuno accoglie quel che
gli capita e provvede a risolvere in altro modo il proprio problema di sopravvivenza, come ad esempio quel sindacalista, dirigente locale delle lotte per le occupazioni delle terre, a cui, nel momento in cui si trattò di ottenere la meritata porzione
di feudo tolto all’agrario sconfitto dalla legge di riforma, succede, racconta Giordano: “La sorte volle che, come tanti, anche Nitto rimanesse escluso. Anche se lui era
stato il capo del movimento, tanto da essere il più sorvegliato dai carabinieri che lo avevano pedinato e bloccato tante volte lungo il tragitto che da casa sua lo portava alla Camera del lavoro. E così a Nitto, fiero, dignitoso e caparbio, non
restò che intraprendere la strada dei lavori stagionali; talvolta nella pianura di Catania a raccogliere agrumi e talaltra, in autunno, nelle aziende vitivinicole del trapanese. Che non fosse protetto da una buona stella Nitto l’aveva capito molto
tempo prima.” È questo solo un esempio, ma nel libro ce ne sono altri, della celebrazione, formalmente non ricercata, e intenzionalmente non retorica, della dignità
del povero, in questo caso del bracciante rimasto senza terra, che comunque non si arrende ad una sorte e se ne va a cercarne un’altra. Quel che rimane nascosta (o contenuta?)
è sempre la rabbia: ma siamo nell’Olimpo, anche se dei poveri cristi! E l’autore tutto contempla, apparentemente disinteressato come l’antico filosofo o saggio greco, in una atmosfera sublimante. Di sicuro c’è che NITTO, CONTADINO SENZA TERRA, è un grande, è un eroe, anche se di minima gente e merita di essere saputo, cantato, raccontato nella sua bellezza. Bellezza che ritroviamo in tanti altri quadri da contemplare, come nei due passi che seguono tratti dal brano che ha per titolo LE ANTENNE DI NUCCIA: “Se,
in paese, nella notte era morto qualcuno, lei lo sapeva. Se qualcuna era ingravidata, lei sapeva quando si sarebbe verificato il parto. Se qualcuno aveva bisogno di un garage, lei sapeva in quale casa del circondario c’era qualcuno disponibile ad affittare
un posto macchina ed anche per quale somma. Se vedeva passare una macchina con dei giovani a bordo lei indagava subito su quale signorina dei paraggi erano stati messi gli occhi addosso…” “Quando il marito restò disoccupato per un lungo periodo e lei andò a fare dei lavoro part-time, gli scalini persero le antenne… e i vicini restarono un poco più ignoranti.” E ci fermiamo qui con le citazioni. Rimane solo da fare qualche ultima considerazione circa la tecnica narrativa usata da Filippo. Il periodare è agilissimo,
ed è frequentemente intriso del migliore ritmo. L’uso dei sinonimi e la grandissima varietà lessicale, nonché in qualche passo la vera e propria musicalità, la sola che può provenire dalla penna o dalla digitazione
di un poeta, rendono accattivante la lettura. La raccolta meriterebbe, perché no, di essere adottata dai docenti come libro di testo nelle scuole di ogni ordine e grado, quale
esempio di eccellente scrittura letteraria in purissimo italiano.
Pietro Attinasi, L’Eco delle Madonie, Castelbuono, Luglio 2001
Recensione di ELIO PICARDI
VOLI DI SOFFIONE
Filippo Giordano, scrittore-poeta siciliano, ha raccolto nella sua opera “Voli di soffione” brevi racconti
già pubblicati in varie riviste letterarie. Sono piccole storie che narrano fatti di ogni giorno vissuti da persone come tante, non eroi o protagonisti di vicende eclatanti, ma uomini che, quasi sempre, appartengono ad un mondo modesto, campagnolo o
contadino, descritti in episodi quotidiani di ordinaria esistenza. La narrazione è scorrevole e misurata ed il linguaggio corretto ed efficace. I temi toccati sono vari ed hanno luogo in un arco di tempo che va dalle soglie degli anni ’60 ai giorni
nostri. Sono messe soprattutto in risalto le differenze sociali tra classi diverse: la ricca borghesia e il proletariato, quest’ultimo, spesso, vittima di soprusi o desideroso di sfruttare le occasioni per rivalersi in qualche modo (“Nitto
contadino senza terra” e “Il funerale del Cavaliere Panarea”). Capita anche che rappresentanti di queste classi opposte siano accomunati da un’identica
matrice: “la solitudine” (Una sera di marzo). In effetti la lente focale che evidenzia l’obiettivo principale del Giordano è puntata in direzione della “minima gente”, cioè dei protagonisti
degli eventi di piccola portata. È una galleria di personaggi che, colti nell’intimo dalla attenta penna dell’autore, svelano pregi e difetti nello spazio di descrizioni sintetiche ma essenziali. Tra di loro è degno di nota Peppino,
che coltiva il passatempo di fare scherzi agli altri, fino a diventare vittima egli stesso, da parte degli amici burlati, di uno scherzo che rischia di passare il segno (Pan per focaccia). S’inserisce nella trama narrativa con la sua solarità
anche il falegname Cosimo che, nel tempo libero, ha l’hobby della musica e si esibisce cantando, accompagnato dalla fisarmonica dell’amico Nino, in serate festose fatte di “canti e brindisi”. Ora, alla vigilia del pensionamento, mentre
guida la sua auto, ascolta un brano musicale, una “beguine” che gli evoca ricordi e rimpianti… (Tempo di beguine). Colpisce l’attenzione del
lettore pure Giulio che, all’apparenza arguto e allegro, suole divenire “latente” sognatore, perso appresso alle sue aeree fantasie che prendono consistenza con figure fatte di “impalpabili nuvole rosa”. Ogni
tanto, egli, costretto a ricorrere sistematicamente a dei medicinali, entra in una dimensione irreale, paragonabile ad una fase onirica della mente. A volte, quando preme l’acceleratore della macchina, avverte la sensazione di “volare su un
calesse trainato da due cavalli appaiati in cielo”. Fino al momento che avviene che “nuvole di gente chiedano al cielo perché abbia precipitato una nube di sangue per terra”. (Nuvole). In “Voli di soffione” i personaggi femminili sono nettamente in numero inferiore, ma la loro presenza è significativa. Per esempio c’è Lisa che, oppressa da un segreto
inconfessabile, deve subire i disagi causati da una particolare situazione di compromesso sociale (Lisa). Oppure c’è Nuccia che vive di pettegolezzi ma, suo malgrado, deve rinunciare al suo ruolo di zelante informatrice del condominio
(Le antenne di Nuccia). Le piccole storie narrate da Giordano sono macchie di colore nel grigio monotono di un’esistenza senza sussulti e sono quasi sussurrate in modo lieve come la neve che, nel finale, “cadendo infinita”,
cancella ogni traccia di orme di passanti che appaiono e scompaiono con passi felpati… (La neve). Elio Picardi Omero, Napoli,
Gennaio – Marzo 2006
Recensione di Franco Maria Maggi
VOLI DI SOFFIONE “Voli di soffione” piccole storie di minima gente, si distingue per quella squisitezza
dei contenuti, per la sua peculiarità espressiva, per lo stile privo di ampollosità, il tutto sorretto da un corollario di scrittura asciutta ed efficace. Diciannove racconti brevi di piacevole lettura, contrassegnati da una teoria di personaggi
eclettici, strani, seri e meno seri che riescono ad essere stupefacenti attraverso una serie di dialoghi retti da forti scansioni onomatopeiche. Anche la suggestione riesce a fare la sua parte sottolineando il fascino suscitato dal testo come nel “bozzetto”:
“Con gli occhi chiusi” dove un serrato “domanda – risposta” tra un padre e il figlioletto curioso finisce con questo dialogo: -
Di chi è quella casa papa? - Di uno che è morto. - E’ morto? - Si, è morto! - Ma come è morto, papa? -
Con gli occhi chiusi, Vito. Con gli occhi chiusi! Ancora: l’ombra che dopo quarantacinque anni era come resuscitata e, ora, era tornata a minacciare e a inseguire il professore.
Le storie del maresciallo Leonardo, la cui morte aveva scosso ambienti politici e militari dello Stato e di Nitto, contadino senza terra. E tanti altri brevi racconti che vanno dalla “Valigia del militare” fino a “La neve” che chiude
il volume. Filippo Giordano, già autore di diverse raccolte di poesia, poi tutte confluite in un unico “corpus” dal titolo “Rami di scirocco”, ha dimostrato
d’essere anche un valido narratore come avvalorato da quest’ultima pubblicazione, degna della massima attenzione e considerazione Franco
Maria Maggi La Gazzetta di Bolzano, Dicembre 2005.
Nota di Giovanni Quirini su LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA
Si legge con piacere questa raccolta di racconti brevi di Giordano, un piacere che nasce dalla semplicità spontanea di una vena narrativa piuttosto solida. Il sottotitolo recita opportunamente:
“piccole storie di minima gente”. Una promessa mantenuta con ammirevole coerenza, pagina dopo pagina. Alla luce della nostra normale esperienza quotidiana, l’effetto
di questi racconti appare segnato da una nostalgia e da una struggente amarezza. I personaggi di Giordano sono le persone sempre più rare (e per questo “minime”) che conservano uno sguardo ingenuo sul mondo. Attorno a noi, nelle nostre città
affaccendate, se ne incontrano sempre meno. Anche per questo motivo la lettura del volumetto appare preziosa. Questi bozzetti di una provincia ormai sommersa dai nuovi costumi omologanti ci restituiscono la freschezza di immagini ed episodi di una dignità
umana che andrebbe difesa. Già testimoniarla con un lavoro letterario è un segno di maturità che merita il plauso delle persone civili. Ma c’è dell’altro. Ed è il senso della fragilità dell’esistenza
che spesso riesce a coagularsi e a trovare un significato nelle cose piccole, lontane dai clamori della cronaca e della Storia. Non si tratta di consolarsi con una rivalutazione di questi momenti, ma di affermare che sono proprio queste storie e questa gente
i valori del mondo, a dispetto di ogni oblio o di ogni vana esibizione. Giovanni Quirini La Nuova Tribuna Letteraria,
Abano Terme, 3° trim. 2001
Nota di LICIA GIOVINO su Paleokastro
Edito da “Il Centro Storico” nel Maggio 2001, Voli di Soffione è una raccolta che vede per la prima volta riuniti racconti già singolarmente pubblicati in varie riviste,
tra le quali figura anche Paleokastro che ha pubblicato nel n. 3 del Dicembre 2000 “Nitto contadino senza terra”. Autore delle brevi storie è Filippo Giordano, scrittore nato a Mistretta che ha già al suo attivo diverse raccolte di
poesie, tutte confluite nell’ultima raccolta dal titolo “Rami di scirocco”. Sue poesie e racconti figurano anche in alcune qualificate antologie, e si contano diversi contributi su riviste specializzate. Il libro di facile e agevole lettura,
si articola in diciannove racconti che offrono al lettore l’occasione per immergersi in una lettura rilassante che apre alla mente notevoli spunti di riflessione. Licia Giovino
Paleokastro, Sant’Agata di Militello Anno II, n.6, Novembre 2001
Nota di Sandro Gros-Pietro sulla rivista Vernice
VOLI DI SOFFIONE Lo scrittore siciliano Filippo Giordano, nativo di Mistretta, ha pubblicato presso
Il Centro Storico di Mistretta (Messina) il libro di micro racconti intitolato Voli di soffione, un titolo che bene si addice ad indicare la sua prosa rapida, leggera, ma anche destinata ad andare lontano e a fare germogliare, nella lettura
e nella riflessione, nuove occasioni di conoscenza di noi stessi, dei nostri tic, dei nostri sogni o passioni. Il garbo della narrazione unito alla sapienza di un’ironia benevola, che tutto annota e valorizza con un sorriso indulgente, sono le due grandi
forze dello stile fabulatorio di Filippo Giordano, che ricostruisce per tessere rapide, bene focalizzate ed inquadrate, molti aspetti significativi della gente siciliana, per lo più raccolti esaminando i ceti umili e più spontanei, ma non mancano
neppure le testimonianze riferite alle “Famiglie” cioè agli esponenti ricchi e prestigiosi della società siciliana. Sono indimenticabili gli scherzi fatti e subiti da Peppino, in Pan per focaccia, ed appaiono di una comicità
irresistibile i fraintendimenti lessicali nelle versioni dalla lingua al dialetto, documentati nel raccontino omonimo, Lingua e dialetto. Tutto il libro è gustoso per le intelligenti trovate, che uniscono sempre insieme buon gusto e buon umore
ed è adatto come libro da comodino, di cui gustare la sera qualche pagina, per propiziarsi un lieto congedo dal giorno e un buon riposo notturno. Sandro Gros – Pietro
Vernice, Torino – N. 29/30 Dicembre 2004
Nota di Tiziana Petrecca sulla rivista Progetto Babele
Piccole storie che ripercorrono quasi 50 anni della storia italiana. È la Sicilia, in questi racconti, ma potrebbe essere qualsiasi regione del sud Italia, ma perché no, anche
del nord. Nei racconti che si susseguono, Filippo Giordano, narra abitudini, usi, storie di amicizia, di scherzi, nobiltà, ma tanta umanità che man mano col passare degli anni vengono vinte e disperse nelle nuove generazioni. Restano vive solo
nei ricordi malinconici e curiosi di chi non più ragazzo ancora si incanta davanti a una fotografia che lo riporta ai tempi della scuola, come in “La foto”. Tempi lontani dove in “Il fiore che vola” l’amicizia non finisce
con la morte di un amico vissuta “stranamente” con gioia per un antico patto non dimenticato. Sono storie che percorrono il tempo, a volte lo fermano, altre volte lo riportano ad oggi: “L’ombra”, dove l’ombra della morte
s’incarna nel bombardamento su Bagdad. “Il Maresciallo Leonardo” che ricorda, raccontata da un punto di vista umano, interno a quella comunità, un brutto fatto di cronaca italiana. Bella la frase finale tipica di persone che, inermi
di fronte a certi accadimenti, racchiudono nella semplicità di una frase una verità conosciuta e incontrastabile sul paese natìo “…poiché poggiava le sue case in montagna conseguentemente fosse più vicino al
cielo”. C’è anche un’ironia più diretta in alcuni racconti come in “Lingua e dialetto” dove il tradurre letteralmente dal dialetto all’italiano,
rende le frasi totalmente prive di senso e di facili fraintendimenti. È una raccolta di racconti piacevoli, allegri come gli scherzi del racconto “Pan per focaccia”,
ma tutti, allegri e meno allegri sono racconti reali. Realtà che in piccolissimi centri d’Italia ancora vivono. Per il viaggio nel tempo che Filippo Giordano percorre in “Voli di soffione” il realismo diventa un “neorealismo”,
portando la memoria al Pratolini de “Il quartiere”. Tiziana Petrecca, Progetto Babele, Dicembre 2006
Nota di Francesco Mandrino su ALLA BOTTEGA
Voli di Soffione Leggendo queste storie si potrebbe pensare ad uno stile di scrittura espressamente adattato alle piccole
storie di minima gente promesse dal sottotitolo, soprattutto vedendolo in netto contrasto con uno stile minore corrente (corrivo?), spesso condito da un'ironia di maniera a sostenere l'autopromozione di un quotidiano ispiratore tanto comune da generare negli
autori quell'insofferenza che li spinge a farne un'allegoria, non per illustrare la profondità di un improbabile significato, bensì per dare una pretesa profondità di respiro a vicende assolutamente ordinarie. Filippo Giordano invece sembra tenerci a mostrare, anche attraverso il linguaggio, come possano essere considerate minime certe storie di gente comune che potrebbero avere altro da significare, anche se non di eclatante.
Penso a "La neve" (p. 65), un racconto senza storia ma non senza espressione, una storia priva di una morale ma non priva di un senso. Dunque si potrebbe ipotizzare un linguaggio adattato alla scelta narrativa minimale; invece il racconto "Nuvole" (p. 33)
lo impedisce: la storia sfuma in un fantastico estraneo alla pragmaticità terragna del contadino, sa interpretare la leggerezza di un pensiero altro non necessariamente condiviso, a volte inconsapevole ma sempre incolpevole, eppure il linguaggio resta
lo stesso; si deve quindi pensare che si tratta di una forma espressiva propria dell'autore, un modo lento e disteso cui non interessa imporsi ma, pur nella piena coscienza di sé, cui basta esistere. Filippo Giordano tiene fede al sottotitolo del suo libro, e ci racconta piccole storie che si sarebbero ascoltate volentieri un tempo, come "La valigia del militare", che s'incontra per prima, favole cui oggi non si ha più voglia
di credere, oppure storie che non si è mai voluto sentir raccontare, fin dai tempi in cui migliaia di "Nitto" morivano consumati dal Cancro (la maiuscola spetta ad un tale protagonista) nei letti di casa o nelle corsie di oscuri ospedali, dietro la
distrazione comune di frigoriferi pieni di bibite e marmellate colorate con E... , sotto la comune convinzione che bastava un cucchiaio in più di DDT per non preoccuparsi del raccolto, quando si buttavano le tegole in cotto per rifare il tetto con l'Eternit
e non pensarci più. Già allora davano fastidio storie come quella di Nuccia, parevano troppo paesane, quando si pensava che la vita potesse essere un sogno da giocare tra Valdìsnei e Gionuèin. Sulle pagine del Reader's Digest vedevo panorami di città immense, piene di grattaceli, mentre un jet della TWA mi offriva l'America, ed io non volevo sentir parlare di marescialli leonardo o di cronisti mauro, vivevo nella
certezza che il mito che ci giungeva d'oltreoceano sarebbe stato incrollabile. Oggi, che avevo quasi cancellato dalla memoria quanto ero stato piccolo nella mia ingenuità, mi ritrovo ancora tutto davanti in alcune di queste storie minime che ho sempre
voluto credere d'altri, e mi tocca di farmi infastidite dal riflesso dei flash dentro lo specchio del sorriso (p. 46). Francesco Mandrino, Alla Bottega, n.9 /2002
Nota di ROBERTO TASSINARI sulla rivista TALENTO (Torino), 2015
Filippo Giordano ripropone, a tredici anni di distanza dalla precedente pubblicazione,la raccolta Voli di soffione. Le variazioni introdotte in questa nuova versione sono in realtà marginali: qualche parola è stata aggiunta, qualche racconto ha subito delle limature (Le antenne di Nuccia e U Su-Bastianu), il torrente Cellia scorre ora nella accezione dialettale (Ciddia). Questi Voli di soffione rievocano un tempo ormai
perduto, nel quale “il pane era fatto in casa e per farlo, fra impastare la farina, preparare il forno e cuocerlo, se ne andava buona parte della giornata”
(Con gli occhi chiusi), una società nella quale le classi subalterne, vittime di un secolare sfruttamento, cominciavano a prender coscienza della necessità
di lottare unite per rivendicare i propri diritti (Il funerale del cavaliere Panarea e Nitto, contadino senza terra), un mondo di contadini come Paolo, le cui “mani nodose avevano mietuto distese di grano e, una ad una, raccolte montagne di olive”
mentre le sue spalle “avevano trasportato, innumerevoli volte, grandi ceste di uva matura” (La mula). Nel racconto La foto è appunto una fotografia
che “che per via del vestiario indossato dalle figure umani presenti, si poteva far risalire a diversi decenni prima” a fare rivivere negli abitanti i ricordi
legati ai tempi della scuola, sicché “ciascuno s’immaginava piccolo, oltre quel portone, a salire le scale che portavano alla propria classe mentre il profumo del glicine s’alzava oltre il
tetto, su nel cielo terso”. Pan per focaccia ricorda gli scherzi
memorabili fatti e subiti da Peppino, “artigiano muratore” e non mancano personaggi curiosi quali Nuccia, che aveva il pettegolezzo “ insito nel sangue” o simpatici come quel Don Vastiano che storpiava abitualmente le parole, trasformando la Cassa Mutua in “tassa
muta” e la Saub in “samba” e storie commoventi come quella della giovane Lisa, sconosciuta all’anagrafe
in quanto la sua nascita non venne mai dichiarata dai genitori. Roberto Tassinari Rivista “Talento”
Torino (Luglio – Dicembre 2015)
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