Fresca una domenica di Settembre
(in coda a un caldo tubo di giornate)
con cappello di nuvole grigie
poi che la notte ha sciolto acquazzoni.
Alle undici, dall’ampia terrazza
di Santa Maria delle
Grazie
lo sguardo s’adagia sul selvatico
finocchio dai granuli verdi sotto
la ringhiera che guarda il panorama
di case, tremuli pioppi e tigli.
“Ite, missa est”, a casa le donne
affaccendate in cucina per il pranzo;
ma noi andiamo là dove gli amici
siedono fra chiacchiere e caffé lunghi
- anche perché la bimba nostra scopre
che al suo appello di patatine
la domenica risponde
qualche bar.
Strozzato il Corso, per lavori in atto,
giriamo un poco per le vie traverse
(che poi è la voglia vera della bimba:
girare a lungo e guardarsi attorno).
E pure oggi è un giorno di partenze.
Dal plesso della Scuola elementare
(che tante lunghe sere ha ospitato
la loro cristallina allegria canora)
partono i giovani boy scout
con tante auto, arrivate la mattina,
di trepidanti e fieri genitori.
Partono e portano i loro sogni altrove.
E parte pure oggi il Veneziano,
professore, che da vent’anni e più,
puntuale viene qui ogni anno
come fosse una amata patria
(da quando in un libro di fotografie
ha impresso visi, case e scorci,
allora nostri deprezzati monumenti
e col suo autografo di intenditore
intrise ogni cosa di poesia)
lasciando un filo di collegamento:
ugo vincenzo maria /chiocciola /alice.
Così, come si suole dire, casca
a fagiolo la malinconica canzone
di Leonard Cohen che radiodue
trasmette all’abitacolo che in giro
ci conduce per le nostre strade.
Oh, a proposito
di strade, guarda,
guarda che da quell’altra scende il prete
Giovanni dal passo lungo e svelto,
umano segno che a Santa Caterina
la messa è finita e la chiesa è chiusa.
Ma col suo passo svelto e lungo
tornerà lì per la messa vespertina
con la giuliva e profonda fede
che ha portato dalla sua Polonia.
Taluni partono (ché manca l’ut)
e portano i sogni loro altrove.
L’altrove
ha portato qui il suo sogno.
Crocicchi per le strade e nella piazza.
Peppino, Nino e Massimiliano
Al “Primavera” di Esse Filetto
progettano il futuro culturale
e calamitano il sopranazionale.
Non gli andirvieni dell’Heatrow Airport
ma ciascuno ha la sua storia condivisa.
Ci vedono e ci invitano a sedere.
Tatuzzo, assente, forse è andato all’orto
a cogliere minestre maritate.
Si ode da una macchina che passa
un disco che lamenta una canzone.
Oh, non è l’inno di questa cittadina,
ma il lamento - canto dei paesi.